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al testo di Ivan Pozzoni
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L’amore ha bussato alle ante delle mie finestre, i miei occhiali anti-rottura, con nocche delle dita delicate, diverse dalle mie rovinate dai cazzotti sferrati e ricevuti, accecandomi della meraviglia di acquistar di nuovo un’opportunità da sprecare, di avere ancora un treno da attendere alla stazione di Milano. Sei la bellezza di una nuvola ingoiata dai reattori di un Tupolev Tu-144, sei il sorriso radioso di un bambino in riabilitazione oncologica, sei una matita temperata allo spasimo, mi crivelli i dorsi delle mani, abissali come il cratere Chicxulub hai occhi che estinguono i miei banchi di nebbia.
L’amore ha spazzato via ogni mio cavallo di frisia con la naturalezza di un lanciafiamme, ha stanato anticorpi e mine anti-donna disseminati nei territori delle mie battaglie, regalandomi un abbonamento settimanale al telefono cellulare con cinquemila minuti da spandere.
Sei l’arcobaleno tossico che colora i mari di pioggia delle città industriali, stingendo mi macchi i vestiti, mi dipingi il viso, rivolandomi addosso, contamini di radioattività i miei movimenti, costringendomi ad insinuarti sottocute, sei lo splendore del combattimento e della resa, del combattimento e della resa, lo splendore dello spazio bianco da riempire o da strappare.
L’amore che mi istruisce ad aver cura di te, te che dormi sul divano con la serenità del cucciolo di tigre, te che sogni farfalle e codici isbn, mi diseduca a curarmi delle mie cure, mi trasforma in milite ignoto deposto nel sacrario della tua spensieratezza.
Amore distante che sconfiggi il terrore della morte con lo stesso valore di immortalità dell’arte, ravvivi lo zelo missionario d’un eremita in rime torte avvezzo a sopravvivere in disparte.
[Patroclo non deve morire, 2013] |
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